Collegamento tra postura e benessere
In fisiatria, ortopedia, odontoiatria, gnatologia, oculistica, angiologia ecc. si parla ormai costantemente di postura. In effetti, gli studi della postura, grazie alle innovazioni tecnologiche, hanno compiuto negli ultimi anni grossi passi avanti. Sempre più la postura risulta implicata, come vedremo in seguito, in molte problematiche muscolo-scheletriche e organiche.
La posturologia si trova così, per forza di cose, ad essere una scienza multidisciplinare che abbraccia numerose branche della medicina e della tecnica.
Qualunque causa in grado di modificare l'equilibrio, dovunque posta lungo l'asse cefalo-podalico, avrà riflessi immediati, trasmessi per via ascendente o discendente lungo le catene muscolari, su tutti gli altri segmenti corporei, modificandoli con rotazioni e/o traslazioni di compenso. È evidente che qualsiasi forza agisca sul sistema “corpo” avrà in risposta un atteggiamento di compenso che si spalmerà in senso centrifugo, dal punto di applicazione della forza verso i distretti corporei circostanti, fino a interessare l'intero organismo. Tale risposta, durante il suo percorso, dividendosi in una serie di sistemi e sottosistemi di compenso, lascerà il segno, positivo o meno, della propria azione nelle varie regioni corporee. Avviene così una riprogrammazione del sistema posturale e dell'equilibrio che comporta modifiche delle principali vie afferenti, sia fisiologiche che, dopo un certo periodo di tempo, perfino anatomiche.
Tali "alterazioni", infatti, vengono fissate a livello corticale, tramite memorie biochimiche corpuscolari che poi divengono anatomiche per vero e proprio contatto tra neuroni (gap-junctions), sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico; quindi, la funzione governa la struttura. Questo fenomeno viene definito engramma motorio e rappresenta l'insieme delle esperienze motorie memorizzate dall'individuo come programmazione attivante il sistema feed-forward (anticipatorio) responsabile dell'attivazione neuro-motoria diretta. Quanto più ripeteremo, in maniera cosciente o inconscia, tali gesti motori programmati, tanto più rinforzeremo, al pari di un condizionamento neuroassociativo, quell'engramma motorio.
Ma perché è importante trattare la postura dal punto di vista muscolare?
La risposta è tanto facile, quanto complessi sono i meccanismi che regolano il movimento: perché alla fine la conduzione della vita quotidiana e dei gesti sportivi vengono attuati attraverso le nostre strutture muscolari.
Possiamo quindi definire la postura come un insieme di rapporti di flesso estensione, ossia la capacità di contrarsi di una catena cinetica agente su un piano rispetto all’estensibilità della catena opposta agente come resistente. In altre parole come dei rapporti muscolari tra strutture che interagiscono sulle stesse articolazioni.
Non è tanto importante il cosiddetto rapporto tra muscoli agonisti ed antagonisti, cioè tra un muscolo ed il suo opposto, quello che si allunga quando lui si accorcia, quanto il rapporto che si crea tra le due articolazioni che incidono sullo stesso muscolo.
Ad esempio: alla flessione del ginocchio, corrisponde una reazione che il quadricipite (biarticolare) ha sul bacino, che va a coinvolgere lo stabilizzatore del bacino stesso, in questo caso l’addominale collegato alla gabbia toracica, collegata a sua volta all’assetto di regolarità delle curve fisiologiche della colonna vertebrale.
Ciò significa che ogni volta che fletto la caviglia o il ginocchio, oppure estendo l’anca, pongo in relazione catene di muscoli che aumentano il carico e le tensioni che arrivano sul rachide in modo diretto o indiretto;
l’azione indiretta potrebbe esplicitarsi attraverso la flessione dorsale della caviglia, collegata con l’estensione dell’anca: ad una rigidità della caviglia corrisponde una flessione d’anca che, accorciando i muscoli flessori, modifica indirettamente l’assetto della colonna.
L’azione diretta invece si traduce quando, un muscolo direttamente collegato al bacino, crea una reazione sullo stesso che si lega alla posizione del rachide.
Uscendo quindi dal meccanismo agonista – antagonista, dobbiamo pensare ad un sistema che ha una funzione di sovraccarico progressivo e sommatorio: durante la deambulazione le tensioni delle varie strutture che intervengono, quali caviglia, quadricipite, anca, ischiocrurali, eccetera si sommano in un sovraccarico sommatorio e progressivo man mano che l’angolo di gestione della parte dinamica aumenta; più muscoli che entrano in tensione, angoli sempre più tesi della stessa tensione.
Cosa fa l’organismo, in atleti, amatori o “non sportivi” quando non stabilizza questo potenziale?
Produce zone di compenso: all’incapacità di mantenere l’assetto del bacino e del rachide si producono compensi che si oppongono a situazioni o troppo statiche o troppo dinamiche.
Il dolore, che è contrario di benessere, è quindi l’utilizzo di una zona di compenso: si crea un sovraccarico funzionale di una zona che non deve fare un lavoro chiamata a fare (una lordosi che diventa un’iperlordosi, uno shif , una lateralizzazione del carico, eccetera); l’azione che stiamo compiendo non è in grado di svolgersi sui piani deputati a quest’azione e si avvale di livelli diversi dello stesso piano rimandando il proprio compito ad altre articolazioni (ciò che non fa la caviglia lo fa l’anca, e cosi via) o di piano opposti (prima sagittale, poi frontale, poi trasverso)
Appare evidente comprendere come la postura quindi sia in realtà un rapporto di forza tra muscoli che stabilizzano la colonna e il bacino e che reagiscono su di essi. Non è una semplice “posizione”.
Non a caso, Salute è “assenza di dolore”: lavorare su ciò che flette e ciò che estende, su rapporti di flesso estensione, sul sistema corpo, quindi su sistema circolare, che va dalla caviglia fino alla cervicale, vuol dire far apprendere al nostro organismo dei rapporti muscolari secondo le proprie necessità.
Ad esempio, un Karateka ha una dinamica di estensione e di ampiezza più importante di un calciatore, ma i rapporti di flesso estensione non cambiano, perché ognuno costruisce la propria mobilità passiva sugli angoli della gestione dinamica
Quando essa supera i rapporti della mobilità passiva si va incontro ad un problema: se passivamente non il soggetto non possiede un ROM necessario a ciò che deve fare, quando andrà a stabilizzare i presupposti articolari negli angoli del movimento avrà sia uno svantaggio tecnico, che un compenso di un'altra articolazione che si sostituisce a quella deputata allo svolgimento del dinamismo.
Questa negatività è un sovraccarico funzionale o pattern overload: quando il movimento sommatorio e progressivo degli angoli di estensione necessari alla dinamica non trova la giusta stabilizzazione, la colonna diventa un compenso, l’angolo del bacino diventa un compenso, l’angolo della caviglia diventa un compenso.
Quindi il rapporto tra salute e postura è direttamente collegato, così come tra postura e performance.
Ci sono spesso situazioni in cui alleniamo i fattori che allenano la prestazione, quali l’aspetto visivo, uditivo, la propriocezione, la forza, la dinamica, il condizionamento organico, eccetera, che, unite al miglioramento della tecnica specifica portano al miglioramento prestativo, ma anche al sovraccarico da trauma iterativo: solo se i rapporti sono a vantaggio dei muscoli stabilizzatori della dinamica, il soggetto non produce zone di compenso.
Ciò vuol dire che l’energia che costruiamo in funzione della nostra necessità e rispondente all’obiettivo, non si incanala in tali zone di compenso: è come se avessi un tubo con un piccolo foro di uscita – mentre l’acqua scorre, una piccola quantità si disperde nel foro, cioè nell’errore e nel difetto.
La postura è perciò la base che permette alla muscolatura di recepire la costruzione del movimento, specifico e non.
Tale concetto risulta quindi collegato sia all’assenza di dolore che all’ottimizzazione del gesto tecnico: in ogni caso i muscoli stabilizzatori devono essere più forti di quelli che reagiscono.
Spesso si riscontrano atleti con un gesto tecnico ottimo ma non sufficientemente strutturati negli angoli richiesti dal gesto tecnico stesso: esistono infatti sport più tecnici (karate, ginnastica) in cui ciò che mette l’atleta in difficoltà è l’angolo estremo di gestione del movimento, ed altri sport con angoli meno estremi ma ripetitivi durante la gara (atletica leggera, calcio).
Quando in un atleta subentra il dolore vuol dire che non siamo stati in grado di leggere i punti di repere che il sistema corpo ci ha fornito.
Dare la colpa al gesto tecnico, che, a volte, è asimmetrico (vedi il tennis, spesso il calcio o la pallavolo) vuol dire non aver costruito abbastanza bene, non solo la stabilità del piano sagittale negli angoli di estensione,ma anche l’azione dei baricentri tecnici (addome, ischiocrurali come estensori dell’anca e fissatori del cingolo scapolo omerale) , nonché l’azione in flessione plantare della caviglia anche se in dinamica ne viene richiesto l’uso in flessione dorsale.
Vuol dire non essersi accorti che la flessione plantare limitata è segnale della flessione anca, che la pronazione della caviglia è indice di limitazione della catena posteriore, che nel passo si ripercuote sulla catena anteriore e arriva alla colonna, che l’inestensibilità del cingolo da un lato è la riduzione dell’ampiezza articolare dell’anca dello stesso emilato, e tanti altri detector elements che il corpo ci fornisce.
Ragionare sulla postura quindi vuol dire uscire dalla specificità dell’apprendimento sport specifico per insegnare un apprendimento muscolare al nostro SNC basato su determinati compiti muscolari